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VI Concorso Nazionale di scrittura creativa

"ODI ET AMO"

Il mio monologo: "AMO BERNINI! La passeggiata di un onanista"

ha vinto il premio della Giuria popolare

AMO BERNINI!

Passeggiata di un onanista

 

I morbidi glutei torniti, dalla pelle liscia, luminosa, sono tesi in uno slancio drammatico: Proserpina cerca disperatamente di divincolarsi dalla presa delle braccia del suo rapitore. 

Vorrei essere quella mano possente che affonda nella carne bianca e tenera della coscia! 

Giro intorno a questo capolavoro, ipnotizzato dalla bellezza e dalla perfezione delle forme.

La luce rende vive quelle mani virili e quel corpo di donna.

Giro intorno. Giro intorno. Giro intorno.

Chiudo dietro di me la porta della toilette.

Su e giù, su e giù, con passione.

Ora è la mia testa che gira.

Ecco.

La porta accoglie le mie spalle, sostiene il mio corpo nel momento cruciale.

Proserpina!

Bernini, perché mi fai questo? Ti odio!

Un attimo di vuoto assoluto: una sospensione di tempo, spazio, suono, vista… come una piccola morte.

Ok.

Carta igienica. Tutto a posto. Nella toilette del museo non resta nessuna traccia del mio passaggio.

Aria.

I pini di Villa Borghese, creando diagonali linee dorate, filtrano un dolce sole di aprile.

C’è poca gente in giro.

Una signora in rosso richiama il cane che si sta allontanando troppo per fiutare, alla base dei tronchi e fra gli aghi dei pini, odori del passaggio di suoi simili.

Mi siedo su una panchina un po’ sgangherata. Vorrei finire di leggere un romanzo che ho iniziato stanotte.

Dei passi veloci, accompagnati da respiri ritmati.

Alzo la testa dalle pagine del libro: in piccola corsa, le cosce di Proserpina passano davanti ai miei occhi. Spuntano fuori da un paio di short aderentissimi di lycra verde fluo, sotto una canottiera arancione, altrettanto stretta. Una coda di cavallo bionda, legata alta sulla testa, dondola allo stesso ritmo del passo.

Incredibile come la pelle della Proserpina in marmo non abbia niente da invidiare, quanto a sensualità, a questa, che è vera! Notevolissima, comunque, anche questa.

La ragazza sparisce dietro gli oleandri, continuando il suo percorso circolare.

A pensarci bene, se mi sposto su quella panchina laggiù, vicino ai cespugli, al prossimo giro mi passerà ancora più vicino.

Ecco, qui la posizione è ideale, la vedrò arrivare già da lontano, senza bisogno di girare la testa… movimento che potrebbe dare nell’occhio.

Eccola.

Vista da davanti la sua silhouette è veramente attraente: il seno, di misura considerevole, si muove armoniosamente, insieme al resto del corpo, senza temere le conseguenze della gravità.

Mentre mi passa davanti, un sospiro sonoro mi esce involontariamente dalla bocca e dal naso, ma per fortuna lei ha le cuffie, e non se ne accorge: vedo che, con la bocca, mima la voce di una qualche canzone che sta ascoltando, “sparata” nelle orecchie.

Le mie, di orecchie, adesso sono bombardate dal battito del cuore che ha incominciato a pompare forte.

Ma il sangue non ha pompato solo in quella direzione.

Devo fare qualcosa.

In un attimo sono dentro il cespuglio che sta dietro di me.

Non è difficile trovare una posizione da cui la potrò vedere arrivare dalla curva là in fondo.

Mi preparo: devo dare un senso a quel sangue che mi ribolle, lì sotto.

Eccola di nuovo.

Ha dei seni pazzeschi. Mi distraggono dalle cosce. 

E vai! Sì!

Una corsa perfetta!

Buio. E un sibilo nelle orecchie.

Piccola morte.

Poi luce di nuovo.

Appena in tempo: il cane della signora in rosso arriva ai miei piedi ad annusare fresche tracce, diverse da quelle finora ricercate. Pussa via!

Esco facendo l’indifferente. La signora mi guarda con sospetto, certamente immaginando che mi sia nascosto nel cespuglio per pisciare.

Meglio se mi incammino, fra meno di due ore devo essere alla stazione Termini, e voglio arrivarci passeggiando, non correndo all’ultimo momento.

Laggiù vedo già Porta Pinciana.

Prenderò un buon caffè a via Veneto, sì, ho bisogno di tirarmi un po’ su.

Mi siedo proprio al centro di quello che è stato uno dei set fotografici più importanti della “Dolce vita”: il Cafè de Paris.

Ormai non rimane niente di quell’atmosfera descritta dal film di Fellini e dai rotocalchi dell’epoca; unica memoria di quegli anni sono alcune foto in bianco e nero incorniciate e appese al muro nella sala interna.

Dalla veranda esterna osservo, dall’altra parte della strada, la maestosità dell’Hotel Excelsior, altro luogo “mito” di quel periodo.

Ecco il mio caffè macchiato.

Non è il cameriere a cui l’ho ordinato, che me lo porta.

Allora oggi è una congiura!

No!

Ma che bocca ha, questa?

Aiuto!

Una bocca così… no, non ce la faccio.

Oggi davvero… 

Mi parla, e quelle labbra mi mandano il sangue al cervello.

Grazie. In fondo, a destra.

Lascio il caffè sul tavolo.

Ho il respiro affannoso e le tempie che mi battono.

Ci sono.

Di nuovo il buio, di nuovo una porta chiusa dietro di me, contro la quale appoggio le mie spalle, per non cadere. 

Che bocca!

Una pausa, una pausa.

Il caffè è ormai quasi freddo, comunque buono.

Grazie. Che bocca.

Scendo lentamente lungo via Veneto; il tramonto è in arrivo e le facciate dei palazzi, con la parte superiore ancora indorata dal sole, iniziano a mostrare alcune finestre illuminate.

Mentre salgo su, per via Bissolati, accuso un po’ la stanchezza per questo pomeriggio piuttosto intenso: per oggi posso essere soddisfatto della mia passeggiata, credo che dormirò molto bene stanotte.

Largo Santa Susanna.

Ho ancora quasi un’ora al mio appuntamento, posso entrare a visitare questa chiesa, credo di non averla mai vista.

Barocca. Barocchissima.

Le luci morbide e calde aumentano il senso di opulenza che le forme delle sculture e delle decorazioni esprimono. Non c’è nessuno, a parte due anziane signore in preghiera davanti ad una immagine sacra circondata da candele e candelotti.

Percorro la navata in silenzio, quasi in punta dei piedi, in ammirazione.

Arrivo davanti all’altar maggiore.

Mi volto a sinistra… ed ho un tracollo.

Bernini, ti amo!

Mi appare, fra divini raggi dorati, la bocca della cameriera del Cafè de Paris - proprio la stessa bocca - nelle sembianze di Santa Teresa D’Avila. 

Teresa, in più, ha, inequivocabilmente, un’espressione di orgasmo stampata sulla faccia.

La chiamano estasi.

Sì, come la mia, qui, adesso, chiuso dentro il confessionale di fronte alla Santa.

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