"La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla"
Gabriel Garcia Marquez
ERA UN ABITO BLU
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Il mio racconto '11 agosto 1947' parla, con l'aggiunta di alcune fantasie, del matrimonio dei miei genitori. L'ho scritto,in omaggio a mia madre, volutamente in uno stile molto romantico, così come lo avrebbe scritto lei.
11 agosto 1947
di Nicola Civinini
Laura aveva gli occhi lucidi.
Guardava lontano volgendo le spalle a Leonardo, perché non voleva che lui scorgesse quelle lacrime. La luce del tramonto le illuminava il volto mentre da dietro lui le accarezzava i capelli giocando a infilare le dita nei riccioli neri che, come fossero delle molle, tirava e rilasciava.
Erano rimasti soli in quell’angolo un po’ appartato del giardino di Boboli, seduti uno vicino all’altra su una panchina che aveva perduto quasi del tutto la vernice verde e mostrava ora le venature del legno reso liscio dall’usura.
Le piccole foglie fresche spuntate dopo la recente potatura della siepe di bosso che faceva da fondale, brillavano e profumavano intensamente e, nel silenzio di quel pomeriggio primaverile, si sentiva solo il garrire di alcune rondini che volavano alte disegnando nell’aria gli ultimi giochi prima di rientrare ai nidi.
Gli innamorati non si guardavano, non parlavano, i loro sguardi erano proiettati verso un orizzonte ideale, verso quel punto in cui un pensiero profondo rende fissa e sfocata l’immagine che si ha davanti; avevano tutti e due negli occhi una punta di malinconia.
Le bocche arrossate tradivano però la passione con cui si erano baciati durante tutto il pomeriggio.
“È tardi, dobbiamo andare”
Lei si girò lentamente, lo guardò, si sforzò di sorridere.
“Si, andiamo. Il babbo starà per rientrare. Se non mi trova a casa sai quante storie! Se la prenderà con Paolo, che ci ha lasciati qui da soli.”
Si baciarono, rimanendo a lungo ad occhi chiusi. Tenendosi per mano scesero il sentiero “abusivo” creato nell’erba da chi, per non percorrere tutta la grande curva del viale, attraversava il prato in linea retta, e risero per la velocità a cui erano obbligati i loro passi a causa del costone ripido.
Quando arrivarono sulla ghiaia si baciarono di nuovo, poi Leonardo cancellò delicatamente con un dito la traccia di una lacrima dalla guancia di lei.
“Laura devi aver pazienza. Ho bisogno di ricevere almeno lo stipendio di ottobre per poter comprare il vestito. Entro l’estate avrò la certezza dell’incarico e potremo fissare la data. Lo sai, i tedeschi si sono installati a casa nostra e ci sono rimasti fino alla fine della guerra, mio padre non ha potuto lavorare e non posso chiedergli altri soldi.”
“Lo so, scusami amore mio, ma non ce la faccio più a stare a casa, adesso che abbiamo deciso vorrei che fosse domani. Ogni giorno in più che mi tiene lontana da te mi fa soffrire. E poi avrei tanto voluto sposarmi con il sole. Se aspettiamo a dicembre sarà difficile avere una bella giornata, e non mi interessa sperimentare il detto: sposa bagnata sposa fortunata!”
La ghiaia scricchiolò sotto i loro piedi mentre, mano nella mano, si diressero verso l’uscita di Via Romana, e in pochi passi si trovarono su Via dei Serragli. Sotto il muro di cinta del giardino di fronte al portone di lei, dove la luce radente del tramonto metteva in evidenza le ferite lasciate sull’intonaco da una mitragliatrice nemica, si dettero un ultimo bacio, questa volta casto, sulla guancia: da una finestra Paolo faceva segno con la sua manina di salire e sicuramente, dietro le tende, qualcun altro li stava controllando.
Ma poi… tre giorni dopo, inaspettatamente, il parroco della chiesa di Serumido confermò la data del 7 agosto per il loro matrimonio.
Era successo che la notte seguente al pomeriggio passato nel giardino di Boboli, Leonardo aveva faticato a prender sonno e, quando finalmente si era addormentato, dei sogni angoscianti lo avevano turbato al punto di farlo risvegliare all’alba tutto agitato e bagnato di sudore.
Sdraiato, con gli occhi fissi sul soffitto, aveva ripercorso i momenti trascorsi con Laura il giorno precedente, e aveva analizzato i dubbi, le incertezze e le preoccupazioni da cui erano stati sopraffatti.
Si era detto che anche lui desiderava sposarsi al più presto, entro l’estate, e aveva concluso che se l’unico impedimento era la mancanza dell’abito ideale per lui, sarebbe stata veramente una sciocchezza rimandare. Il suo vestito grigio era in ottime condizioni, gli stava benissimo, e il solo fatto di essere di un colore che Laura considerava triste, non adatto a un matrimonio, non poteva essere una ragione sufficientemente valida per rinviare a dicembre. Tutto il resto era pronto: l’abito della sposa, il rinfresco, la camera da letto e anche i soldi per il viaggio di nozze a Roma.
Aveva deciso che avrebbe convinto Laura a cambiare idea, ed era tornato a trovarla il giorno dopo, senza preavviso. Non c’era stato bisogno di spendere molte parole: anche lei era arrivata alla stessa conclusione.
Così scelsero quella data. Avevano poco più di due mesi di tempo per preparare tutto! Uscirono dalla sacrestia con la benedizione del parroco e, eccitatissimi, si lasciarono subito per correre ognuno dalla propria famiglia a dare l’annuncio.
I due mesi passarono velocissimi e benché le cose da organizzare, pur in semplicità, fossero tante, domenica 3 agosto tutto era pronto. Quella sera si salutarono sapendo che si sarebbero rivisti solo il giovedì successivo, davanti all’altare.
Martedì mattina di buon’ora però, qualcuno suonò a casa di Laura… lei andò ad aprire e si trovò davanti il fratello di Leonardo, con una faccia per niente rassicurante. In pochi minuti fu chiaro il motivo di quella visita: “lo sposo” era a letto con febbre altissima a causa di una violenta colica intestinale!
Giorgio era venuto con il pullman delle sei per avvisarli in tempo che bisognava per forza spostare la data del matrimonio.
Le parole che annunciarono quella notizia furono per la promessa sposa violente come lo stridio dei freni del tram che passava sotto le sue finestre, come un insopportabile grido metallico.
Quasi svenne.
Finalmente poi, meno di una settimana dopo, lunedì 11 agosto 1947 alle dieci in punto, come in ogni classica e romantica storia d’amore, Laura, emozionatissima al braccio del suo babbo, varcò la soglia della chiesa di Serumido.
Leonardo la stava aspettando davanti all’altare.
E… indossava un bellissimo abito blu!
Quei giovani sposi erano i miei genitori.
Il racconto del travaglio dei giorni che precedettero il matrimonio, ascoltato più volte da noi figli, non ha mai chiarito se quella colica ci sia stata o no.
Se mio padre la subì forse non fu per motivi alimentari, come ha sempre affermato, ma più probabilmente per ciò che aveva causato l’improvvisa apparizione, come in un colpo di scena da favola, di quel tanto desiderato abito blu.
Era successo che il lunedì precedente aveva voluto provare il suo vestito grigio per verificare che stesse bene con la camicia, la cravatta e gli accessori ma, mentre si spogliava, aveva inavvertitamente urtato un calamaio facendo schizzare dell’inchiostro sui pantaloni!
Incidente sufficiente a causare febbri e coliche al solo pensiero delle conseguenze… altro che cibo avariato!
Comunque papà non ha mai avvalorato questa versione.
L’abito blu?
La tintoria, in pochi giorni, aveva fatto il miracolo!