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COME SCRIVO

 

La mattina, in uno stato fra il sonno e la veglia, in quella condizione di semi-coscienza in cui ho la consapevolezza di dovermi alzare, ma anche il desiderio di prolungare per qualche attimo il piacere del letto, mi appaiono delle immagini, molto chiare e nette – dei pensieri lucidi –  che sono di ispirazione alla mia scrittura. A volte sono dei semplici flash veloci, altre delle vere e proprie scene: azioni con personaggi, paesaggi, oggetti, colori, profumi, rumori. Raramente sono parole o dialoghi. Capita che mi sveglio quanto basta per farmi venire la voglia di descrivere quello che ho visto, ossia di tradurre in parole quelle immagini. Molti anni fa annotavo queste impressioni  su un piccolo quaderno, lasciato di proposito sul comodino, che ho ormai sostituito con lo smartphone sul quale registro note vocali. Ciò mi permette di essere più veloce (anche se talvolta ho difficoltà a decifrare ciò che ho dettato con la bocca impastata dal sonno) e soprattutto di rimanere in quello stato ancora un po’, per poter aggiungere altre note. Mi succede di avere queste “visioni” anche durante la notte, rientrando a letto dopo essermi alzato per andare in bagno.

Alcuni di questi momenti mi sono serviti come punto di partenza per un nuovo racconto, o per completare qualcosa che stavo già scrivendo. Se sto lavorando a un progetto, queste visioni sono quasi sempre suggerimenti che vanno in quella direzione, che mi permettono di procedere; forse perché mi addormento pensando a quello che sto scrivendo e il sonno elabora per me immagini a tema. Per un romanzo che ho iniziato a buttar giù, per esempio, ho una grande quantità di appunti – molti di più dei paragrafi che ho già scritto – suggeriti da questo stato ipnagogico.

Poi trascrivo tutte le note vocali nella cartella corrispondente, sul computer.

Quando devo lavorare su un tema dato, la prima fase – spesso lunga – che trovo molto piacevole e interessante, è quella della ricerca. Più il tema mi è sconosciuto, più è approfondita la ricerca. Questa fase diventa meticolosa soprattutto se devo trattare dati storici, ma anche geografici o scientifici. Per descrivere luoghi dove non sono stato, o dove manco da molto tempo, utilizzo, in mancanza della possibilità di andarci fisicamente, Google Earth , e “volo” sui posti di cui devo parlare, “scendendo” a terra, quando è necessario, per osservare i dettagli. Per il mio primo romanzo, per esempio, ho sorvolato per giorni la Boemia da Praga a Brno (viaggio che avevo fatto molti anni prima in treno), seguendo la linea ferroviaria. Ho usato lo stesso sistema recentemente per descrivere Volterra, salvo poi tornarci fisicamente per controllare se avevo “visto” bene.

Normalmente scrivo di getto, in un flusso continuo e non “premeditato”, senza una scaletta (almeno per i racconti). Butto giù l’incipit e poi tutto ciò che segue arriva quasi inconsciamente, come mi fosse dettato. Mi capita di avere una mezza idea di quello che dovrà accadere nella storia che sto iniziando, ma di ritrovarmi a raccontare una conclusione imprevista, trasportato da atmosfere e situazioni che si vanno definendo col procedere della scrittura.

Quando vado avanti, nelle pause fra un flusso e l’altro, rileggo sempre dall’inizio: non mi succede quasi mai di leggere solo l’ultima parte. Sento la necessità di verificare se le righe appena buttate giù sono coerenti con il tutto. Anche a distanza di pochi minuti trovo errori che correggo immediatamente,  facendolo pure molte volte per la stessa frase.

Ho imparato a non  “affezionarmi” a quello che scrivo, perché lo considero un limite al miglioramento, e sono disposto a cancellare anche tutto per una soluzione che ritengo più consona al contesto e al risultato finale. Le correzioni vanno principalmente nella direzione di pulire, togliere il superfluo: ho sempre sposato l’idea che la semplicità sia un punto di arrivo. 

In certi periodi scrivo ogni giorno, non in orari prestabiliti ma spesso di sera, fino a notte.

Ho anche lunghe fasi di pausa – causate più dalla mancanza di tempo che da blocchi mentali –  e quando riprendo un testo abbandonato magari da mesi, devo rileggerlo varie volte prima di sentirmi abbastanza dentro per poter ricominciare.

Se affronto un tema a me sconosciuto e descrivo situazioni e luoghi totalmente nuovi, mi appaiono comunque, automaticamente, dettagli della mia vita – fosse anche solo  un profumo o una reazione emotiva – che si insinuano nella storia e si installano nella scrittura. 

Ho una buona memoria visiva e ricordo bene le cose del passato tanto da riuscire a ricreare un luogo e una situazione, visti e vissuti anche molti anni prima, come se fossi ancora lì .

“Vedo” le storie, ci entro dentro e mi rendo conto che, per condividerle, uso la scrittura come se le stessi raccontando a voce. 

Non vado alla ricerca di parole importanti o d’effetto, e questo credo sia un mio limite. 

Mi ritengo, più che uno scrittore, un “raccontatore”:  il mio vocabolario scritto si riduce alle parole che uso parlando. 

Mi piace descrivere i fatti senza spiegare necessariamente i sentimenti intimi vissuti dai personaggi, ma far sì che sia il racconto – con le sue atmosfere, il ritmo, i dettagli –  a far capire cosa questi stanno provando e a creare emozione nel lettore.

Ciò che mi interessa non è sembrare forbito,  ma coinvolgere emotivamente, me stesso per primo. 

Devo ammettere che mi succede di commuovermi, a distanza di tempo, per qualcosa che ho messo nero su bianco.

Sì perché, posta la parola fine a una storia sento che non mi appartiene più e, quasi subito, dimentico come l’ho raccontata con la penna (in realtà con la tastiera) tanto da sorprendermi quando mi capita di rileggerla. 

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TARZAN’S SCREAM

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Ho depositato una denuncia contro Bolsonaro, alla Corte penale internazionale dell’Aia, per ‘crimini contro l’umanità’.

L’appello a manifestare lanciato dal movimento ‘Fridays For Future’ di Greta Thunberg è avvenuto sulla scia dello slogan mondiale #SOS Amazzonia, da me inventato e amplificato attraverso la mia ONG ‘Tarzan’s Scream’.

Quest’anno, con i miei 400 milioni di follower su Instagram, ho battuto Cristiano Ronaldo che si è fermato a 357.

 

Ma che fatica!

Per ogni azione che intraprendo è richiesta la mia presenza fisica e – non c’è niente da fare – guai se mi mostro vestito. Mi vogliono vedere nudo come se fossi ancora nella foresta. Uomini e donne, non fa differenza: per tutti la mia tartaruga addominale in bella vista è la conditio sine qua non affinché il lancio di una campagna abbia successo.

E vada per la manifestazione a favore dell’Amazonia – benché abbia rischiato di ustionarmi  più di una volta partecipando in prima linea alle operazioni di spegnimento degli incendi dolosi – ma quando poi si tratta di agire a favore dell’orso bianco, al Polo Nord, circondato da ghiacciai che si stanno sciogliendo… è dura resistere a quelle temperature con il solo perizoma di cuoio addosso! 

E se pensate che il corpo  spalmato di grasso di foca equivalga a un piumino della Moncler, vi sbagliate di grosso, ve lo posso assicurare. L’unico effetto positivo è estetico: mette in risalto i muscoli, ma questo è tutto.

Non parliamo poi dell’assalto alle baleniere giapponesi sotto la pioggia battente, nelle acque gelide dell’oceano Antartico. Nonostante la mia ottima forma fisica, ogni volta ho, di conseguenza, delle terribili coliche intestinali.

Chi me lo fa fare… direte.

Il fatto è che la mia storia mi ha portato a possedere, di default, uno spirito ‘ecologico’: aver vissuto felice, in piena sintonia con gli elementi della natura, fra piante e animali, in totale libertà e condivisione con ogni creatura, mi ha aperto gli occhi sulle mostruosità che sta producendo, sempre di più, la società moderna.

Come posso accettare che vengano tagliati alberi e distrutte enormi aree verdi a favore del cemento, io che conosco bene i benefici e il benessere psicofisico che ci assicura l’aria pura prodotta dalla fotosintesi delle piante?

I voli sulle liane, e il mio grido a pieni polmoni ne sono la prova, e restano ancora oggi l’immagine più iconica della mia figura. 

C’è mancanza di rispetto per la natura. 

E mancanza di rispetto per l’essere umano, c’è odio fratricida. 

Potrei mai essere razzista, io, che sono stato adottato da Kala? Una scimmia. 

Lei è stata la mia mamma.

E, ancora oggi, c’è chi vede differenze fra razze umane! 

Per questo mi lancio a nuoto nel Mediterraneo ogni qualvolta sono avvisato del rischio di naufragio di uno di quei barconi carichi di disperati in fuga dalle guerre, dalla miseria, dalla fame.

E potrei non essere animalista? Proprio io? A parte la mia mamma adottiva, sapeste quanto mi manca  Cita! 

E allora eccomi in prima linea contro lo sterminio degli animali da pelliccia, contro l’uccisione dei cani usati come carne da macello e per la difesa delle razze protette o in via di estinzione: i lupi, le tartarughe, i tonni, i delfini, le farfalle, le api… e contro gli allevamenti intensivi a scopo alimentare e la produzione del foie gras.

Certo che sono vegano. 

E i miei muscoli sono la chiara dimostrazione che non è indispensabile assumere proteine animali per avere un corpo in perfetta forma.

 

Poi, vista la mia immagine di politically correct a trecentosessanta gradi, ho accettato di sostenere anche tutta una serie di altre battaglie sociali. Di cui sono fermamente convinto, naturalmente.

Per esempio è stata un successo la mia uscita nelle piazze delle principali capitali Europee con indosso soltanto un paio di scarpe rosse col tacco a spillo: l’appoggio migliore che potessi dare alla lotta contro il femminicidio.

La foto dei miei piedi in décolleté vermiglie che penzolano dal terrazzo più alto della Tour Eiffel ha fatto il giro del mondo, e centinaia di milioni di like.

Ogni anno, il primo Dicembre, ‘indosso’ il Nastro rosso sul petto, proprio sopra il cuore – mi sono fatto inserire appositamente un piercing in quella posizione – e vado a dichiarare la mia solidarietà alla lotta contro l’AIDS.  

Sono diventato il simbolo più rappresentativo di tutti i movimenti LGBT+ del mondo. Del resto, soprattutto per il mondo gay, sono sempre stato una icona, uno dei riferimenti sessuali più desiderati e amati.  Appoggio e sostengo le teorie Gender: trovo giusto, e sano, mostrarsi e comportarsi per come ci si sente di essere: uomo, donna, o una qualunque altra delle tante sfumature che esistono fra i due generi ’base’, quelli che i bigotti e certi politici beceri e populisti vorrebbero come unica opzione, imponendola a tutti; ben vengano i non binari, i fluid, i pansessuali o qualunque altro genere in cui un essere umano possa riconoscersi e vivere serenamente la propria esistenza.

La mia vita privata?

Jane? 

Certo, stiamo insieme, ne sono ancora follemente innamorato.

È stata lei a farmi supportare con convinzione una delle campagne fra le più difficili da far accettare alla società: il diritto al cambio di genere.

Lei ha vissuto questa esperienza in prima persona: dopo un lungo periodo di transizione, si è operata. 

Ora si chiama Johnny.

E io lo amo così, come e più di prima.

Amore: questa è la parola d’ordine.

 

Aah-eeh-ah-eeh-aaaaaah-eeh-ah-eeh-aaaaah!

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*L’inconfondibile urlo di Tarzan entrato nel nostro immaginario con l’interpretazione di Jonny Weissmuller: traduzione onomatopeica dall’inglese (The Disputed History of the Tarzan Yell)

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