"La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla"
Gabriel Garcia Marquez

INTRUSI
32 autori, 32 racconti
Prefazione a Intrusi di Autori Vari
L’intruso, come sostantivo, secondo la definizione riportata nel vocabolario Treccani, è persona che si è introdotta o si trova in luogo dove non dovrebbe essere, cui è estranea; come aggettivo, indica qualcosa o qualcuno che è introdotto o inserito in un ambiente, in un contesto che non gli appartiene.
Dall’interpretazione semantica di questo termine possiamo dedurre, come per altri, la coesistenza di almeno due significati: uno reale, di ambito oggettivo, dotato di una propria fisicità e concretezza, quale può essere, ad esempio, la presenza di un pallina da tennis in una cassa di mele; l’altro percepito, di ambito soggettivo, che entra nel processo di interpretazione, mediazione e attribuzione di senso e significato alla realtà circostante, quale ad esempio, in campo etologico e sociale, il rapporto con l’altro e con il diverso.
Appartengono a questo secondo significato anche quegli intrusi che possiamo definire autopercepiti, originati da movimenti intrapsichici, che idealmente esteriorizzano il confronto dialettico interiore per l’interpretazione e la lettura della realtà: quindi, veri e propri alter ego mentali, cui vengono attribuiti ruolo e responsabilità nelle conseguenze delle nostre azioni o negli accadimenti della vita, fino ad assumere alle volte dimensioni superstiziose e apotropaiche.
Questi intrusi, antropologicamente presenti in tutte le culture e reduci del pananimismo primitivo, vengono identificati sostanzialmente come esseri soprannaturali, che dividono con l’uomo il mondo di tutti i giorni e che spesso si frappongono come intermediari con la divinità. Possiamo sinteticamente utilizzare le definizioni fornite dal sincretismo cristiano con le figure dell’Angelo Custode e del Diavolo Tentatore e tener presente che le credenze popolari sono ricche di spiritelli leggendari di natura sia benefica sia dispettosa, quali ad esempio, nella cultura popolare partenopea, le figure del “munaciello” e della “bella ‘mbriana”, e nella cultura popolare mitteleuropea le figure della fata, dell’elfo e del folletto.
Inoltre, come ben detto da Maria Maddalena Panunzi nell’incipit del suo racconto presente in questa raccolta, “è un fatto risaputo... che la storia personale degli individui si trovi talvolta, a un certo punto del suo cammino, per un caso, per una bizzarria del destino o chissà per quali altre ragioni, a incrociare in qualche inaspettato dettaglio gli accadimenti della Storia con la esse maiuscola. E che a quel crocevia, i comportamenti inconsapevoli di un individuo tra tanti contribuiscano a modificare, anticipare o altro quegli accadimenti, senza che, nella sostanza, li facciano deviare da quanto atteso”.
Una tale consapevolezza, unita a tutte le caratteristiche implicite nel termine “intruso” succintamente riassunte in precedenza, hanno portato Cinzia Tani e i partecipanti al laboratorio di scrittura creativa da lei diretto ad ipotizzare che uno sconosciuto o una qualsiasi di quelle entità descritte avrebbe potuto avere un ruolo anche in importanti eventi storici del passato.
Di qui l’idea di scrivere racconti che avessero per protagonista un personaggio inesistente, inventato di sana pianta ma concreto, che si intrufola in un evento storico (individuato senza limiti temporali o geografici) e che interagisce (anche in modo comico, capace di strappare un sorriso) con i protagonisti storici reali. Attraverso un suo condizionamento in senso positivo o in senso negativo, ovviamente imprevisto e non documentato da fonti storiche, l’evento si concluderà come effettivamente si è concluso: la sua presenza e la sua azione non possono cambiare il corso della Storia, ma contribuiscono al suo determinarsi nel modo in cui si è determinata.
Come semplice esempio si può pensare ad una zanzara (o a una donna seducente) che la notte prima di Waterloo non fa dormire Napoleone, che quindi il giorno dopo sarà distrutto e sbaglierà strategia sul campo di battaglia: l’esito dell’avvenimento storico rimane quello che si è realmente
verificato, ma nel suo accadimento c’è un ruolo giocato appunto dall’intruso, una creazione della fantasia che si è introdotta o che si trovava in quel luogo dove non avrebbe dovuto essere e che ha interagito con il protagonista.
Ne sono nati trentadue racconti che gli autori e la dottoressa Tani hanno voluto affidarmi per curarne la pubblicazione e che sono raccolti in questo volume: trentadue racconti che abbracciano circa tremila anni di storia, iniziando con episodi dell’Età Antica e del mondo greco-romano, passando per l’Alto e il Basso Medioevo, soffermandosi sull’Età Moderna, per approdare alla contemporaneità più vicina ai nostri giorni, e che privilegiano quasi sempre le vicende legate alla storia d’Italia con il filo tracciato dalla narrazione storiografica postrisorgimentale, senza disdegnare tuttavia incursioni nelle vicende accadute in altri luoghi.
Trentadue racconti in cui vengono messi in scena diversi tipi di intruso: quelli che inconsapevolmente e involontariamente si trovano al centro degli eventi; quelli che assistono impotenti al verificarsi dell’evento; quelli che raccolgono confessioni e memorie; quelli che esprimono solo valutazioni e pensieri; quelli che operano attivamente; quelli indistinguibili dalla realtà in cui sono immersi; quelli che svolgono il loro ruolo simbolicamente; quelli che si confrontano con almeno un altro intruso, non sempre dichiarato tale.
Nel mischiare la realtà con la fantasia, le intuizioni degli autori hanno creato mondi dove l’intruso appare e scompare come un fantasma intrecciandosi con i fatti che la ricostruzione storica ha portato a galla: ogni racconto mette a fuoco una o più delle tessere che costituiscono il puzzle dell’intricata quotidianità e della complessità della realtà. In effetti, i fatti in questi racconti fluiscono come un torrente che leviga i ciottoli e scava il fondale: le circostanze, le causalità, le scelte diventano tutte dei fatti ed ognuno genera il fatto successivo, senza possibilità di tornare indietro. I personaggi e le loro storie non sono in balia della corrente del torrente, sono essi stessi la corrente che nella sua consequenzialità accomuna tutti, fatti, personaggi reali ed inventati, racconti, autore, lettore.
Una dimensione simbolica e metafisica che dà risposte e pone nuovi interrogativi; che ricorda come la realtà non sia un dato oggettivo, ma viene costruita attraverso le narrazioni che le persone creano;
che trasforma l’autore in un uomo che osserva i comportamenti segreti degli altri e che
sbircia ambiguamente tra le pieghe delle vite altrui; che apre la riflessione su chi sia il vero intruso,
indirizzandoci ad identificarlo proprio nell’autore.
Poiché, come abbiamo visto, l’intruso può essere
un alter ego, un altro da noi, l’idea dell’intruso ha a che fare con l’idea del doppio, il punto cieco in cui ognuno cela qualcosa di sé, del suo mondo più segreto, in cui si nasconde qualcosa di ciò che abbiamo davanti agli occhi e talvolta non vediamo. Allora il testo letterario, conservando una sua autonomia rispetto al volere dello scrittore, può comunicare qualcosa che l’autore stesso non aveva affatto progettato intenzionalmente di dire: seguendo l’impostazione critica di Roland Barthes, si può affermare che parla al lettore indipendentemente dalla volontà del suo autore, e che questo suo parlare sia un’altra forma o
un’altra tipologia riconducibile al concetto di intruso.
Roma, maggio 2024
Michele Rucco
Presidente dell’Associazione L’Occhio di Horus APS
Il mio racconto:
ADAMASCO
Fiesole, 25 aprile 1478
Il cielo su Firenze è ancora luminoso, sereno, sfumato come una lastra di alabastro venata di delicate tonalità rosa.
All’orizzonte alcune striature più evidenti, dorate, quasi arancioni: ultime pennellate tracciate dai raggi del sole prima di scomparire dietro il Monte Albano.
È uno splendido crepuscolo di primavera.
Al centro di questa tavolozza di luce, conclusivo segno del giorno che si sta dileguando, fra quinte di colli ornati di cipressi, si è già fatta strada Venere, annunciatrice della notte, talmente brillante e vanitosa da rendersi perfettamente visibile nonostante la mancanza del buio.
Adamasco, la schiena appoggiata al muro e gli occhi rivolti al cielo, osserva fissamente la stella vespertina celato dietro una monumentale siepe di bosso. Sembra concentrato a carpirne la bellezza e l’energia, ignorando ciò che intanto sta avvenendo fra le sue gambe… quasi che la cosa non lo riguardi; anzi, lo annoi.
Madonna Dianora, al contrario, si sta divertendo molto, inginocchiata ai suoi piedi. Trattiene a stento gridolini di piacere e pare totalmente incurante del rischio di essere scoperta.
Poco distante, dal lato opposto del giardino, sul terrazzamento che si affaccia sulla vallata, gli invitati di Lorenzo passeggiano chiacchierando mentre ammirano il paesaggio che lentamente si spegne col sopraggiungere dell’imbrunire. Le fiaccole a olio, fino a poco fa inutili, producendo adesso lunghe ombre, assolvono perfettamente alla loro funzione di evidenziare i sentieri che si diramano fra i cespugli fioriti.
Attraverso i fitti rami della siepe, Adamasco riesce a malapena a intravedere le sagome di quelle persone, ma ne può udire le voci, avvertire il brusio dei discorsi, sentirne le risate.
Sembra, però, ormai stufo della situazione in cui si trova coinvolto.
“Madonna… possiamo interrompere? Gradirei poter bere un buon bicchiere di Malvasia… il nostro ospite ne ha di ottima qualità.”
Per tutta risposta la donna gli stringe la mano nella sua a mo’ di morsa, come a dire: “Aspetta… mi serve ancora un attimo.” Intanto, con l’altra mano, continua a toccarsi.
E, in effetti, non è proprio il caso di uscire in quel momento: ecco che due uomini, elegantissimi nei loro mantelli neri, procedono a pochi palmi di distanza, costeggiando il lato opposto della siepe; ridono: sembrano molto soddisfatti di trovarsi qui, stasera.
Tutta la Firenze che conta è presente: in effetti è un grande privilegio e un onore essere fra gli invitati a questo banchetto, nella villa dei Medici a Fiesole.
Si festeggia l’avvenuta elezione a cardinale di Raffaele Riario, appena diciottenne, nipote di Papa Sisto IV.
L’arrivo di Lorenzo, e di suo fratello Giuliano, è imminente: si percepisce nell’aria una sorta di eccitazione che tiene gli invitati in tensione, pronti ad accogliere con un’ovazione l’entrata dei loro ospiti.
Intanto dal Monte di Giove la notte avanza, e velocemente fagocita il crepuscolo: adesso, del giorno appena trascorso, rimane soltanto una sottile lingua di luce rosata all’orizzonte, a ovest, mentre intorno a Venere, ancora al centro della scena, si stanno accendendo, una a una, le sue sorelle.
Ecco l’applauso degli invitati: i Medici sono arrivati!
Anche Dianora è ‘arrivata’… il suo inequivocabile sonoro sospiro – una sorta di prolungato miagolio – è fortunatamente coperto dagli entusiastici battiti di mani.
Il ragazzo può finalmente ricomporsi e chiudere la sua braghetta; non prima, però, di aver aperto la scarsella per permettere alla nobildonna di farci scivolare i due consueti fiorini d’oro.
Adamasco è un giovane uomo di venticinque anni, ed è molto bello. È alto, ha un fisico aitante, atletico ed elegante, e i lineamenti del volto marcati: labbra carnose, naso importante e sguardo seduttivo. Lunghi capelli castano-fulvi gli scendono fino alle spalle.
È il terzo figlio di Giovanni Bacci, ricco mercante Aretino, e si trova oggi a Firenze – e stasera ospite dei Medici – grazie al Botticelli, amico della sua famiglia.
Nella primavera del 1473 il pittore era stato invitato da Giovanni ad Arezzo per ammirare gli affreschi dipinti da Piero della Francesca nella cappella di famiglia, e al suo arrivo aveva rivisto Adamasco, allora ventenne, che ricordava bambino. Il ragazzo aveva accompagnato il Maestro nella visita alla Basilica, dimostrando una grande sensibilità artistica, frutto dell’ottima educazione ricevuta: era amante della poesia e delle Arti e un eccellente parlatore nonostante la giovane età. Solo due giorni dopo il suo arrivo, Sandro aveva proposto al padre di portarlo con sé a Firenze per avviarlo alla pittura nella sua bottega, ma anche per introdurlo alla corte dei Medici, suoi amici, con l’intento – aveva detto – di creare buone opportunità di scambi commerciali fra le due famiglie.
In realtà l’artista, fine esteta, era rimasto talmente colpito dalla bellezza del ragazzo da innamorarsene subito, avendo avuto anche l’impressione – benché fra loro ci fossero stati solo degli sguardi – che il giovane ricambiasse l’interesse. Il Bacci, riconoscente per l’opportunità che veniva offerta al figlio, aveva messo a disposizione una carrozza per il viaggio, e i due erano partiti il giorno seguente, poco prima dell’alba. Appena fuori Arezzo, fermati i cavalli sul ponte di Buriano per ammirare lo spettacolo delle anse dell’Arno che luccicavano sotto il sorgere del sole, l’intuizione dell’artista aveva avuto conferma: Adamasco si era voltato verso di lui e, guardandolo dritto negli occhi, lo aveva baciato. Lo aveva fatto con estrema convinzione, approfittando di un momento di distrazione del servitore che stava governando la carrozza.
Era evidentemente un ragazzo molto determinato, e particolarmente maturo per la sua età.
Sandro se ne era reso conto subito, una volta arrivato a Firenze: dopo la forte passione iniziale, in cui si erano trovati totalmente coinvolti fisicamente per giorni, il giovane aveva mostrato un distacco a livello affettivo che lo aveva messo profondamente in crisi. L’impossibilità di poter sperare in un rapporto esclusivo con lui era poi divenuta evidente nel momento in cui lo aveva introdotto nella società Fiorentina e alla corte dei Medici: tutti quelli che lo conoscevano – uomini e donne – ne rimanevano affascinati e molti ne erano subito attratti sessualmente; lui, in cambio, elargiva sorrisi e mostrava verso chiunque una totale disponibilità.
Era, già a vent’anni, una di quelle rare anime autenticamente libere, scevro da pregiudizi, aperto a ogni esperienza, pronto ad accogliere tutto e tutti e a donarsi senza limiti, senza pudore o falsi moralismi. Illusorio immaginarlo ingabbiato in un rapporto sentimentale chiuso.
Questa particolare natura ha fatto di lui ciò che è oggi: una delle persone più desiderate e ricercate dalla buona società di Firenze. Amico fraterno di Giuliano de’ Medici e di altri personaggi in vista, e noto come impetuoso amante di molte aristocratiche fiorentine e di alcuni dei loro mariti, frequentatore di letto di poeti, artisti, prelati e di nobili monache. Ciò che lo rende particolarmente apprezzato dai suoi amanti, al di là dell’aspetto puramente sessuale, è la dialettica colta che gli permette di sostenere dissertazioni su letteratura, poesia e arte, argomenti che conosce grazie alla sua formazione giovanile ma anche in ragione degli studi che continua ad approfondire, valendosi delle numerose figure di intellettuali presenti in città. Per questo è quasi sempre presente nei più importanti incontri mondani e culturali dei palazzi fiorentini. Il suo interesse per la pittura, invece, si è subito dimostrato solo contemplativo e non ha mai provato a prendere un pennello in mano per dipingere; il rapporto con Botticelli si è col tempo trasformato in amicizia: un’amicizia ‘amorosa’ che, fra l’altro, lo ha visto passare anche molto tempo a posare per lui. La fratellanza di Adamasco con Giuliano è nata proprio in quel periodo, quando Sandro dipingeva il San Sebastiano con il volto del giovane de’ Medici e i due ragazzi posavano alternativamente per la pittura del corpo, avendo un fisico molto simile. Questa somiglianza, e il fatto di aver scoperto di essere nati lo stesso giorno, li ha fatti subito sentire come fratelli.
Adamasco ha in seguito approfondito il legame con Giuliano vivendo insieme a lui quell’incredibile periodo di esaltazione causato dall’arrivo di Simonetta Vespucci a Firenze, aiutandolo anche a preparare il torneo cavalleresco di piazza Santa Croce e gioendo per la sua vittoria.
Ha poi saputo sostenerlo con affettuosa presenza nei giorni dello strazio causato dalla morte della donna.
L’Aretino conosce bene il suo amico, lo conosce intimamente: ha la certezza che stasera non verrà e, qualunque sarà la versione ufficiale fornita, lui è l’unico a sapere il vero motivo di quell’assenza.
Infatti la sua convinzione viene immediatamente confermata: mentre rientra in villa sente che quasi tutti gli invitati, nel prendere posto per il banchetto, lamentano la mancanza di Giuliano. Lorenzo si è già accomodato al centro del grande tavolo a ferro di cavallo e la poltrona accanto a lui è vuota; seduto alla sua destra il giovane neo-cardinale, con il quale dialoga: probabilmente gli sta spiegando le ragioni dell’assenza del fratello. Ma intanto i musici hanno iniziato, con impeto, a suonare e a intonare canti, e i dialoghi dei commensali e il rumore delle vivande passano in sottofondo.
Dianora, rientrata dal giardino fra gli ultimi, è seduta – fortunatamente per Adamasco dal lato opposto al suo – accanto al marito e gli parla all’orecchio: il suo volto, visto così di profilo, dà conferma alla voce che circola sulla sua presunta origine, ossia all’ipotesi che sia figlia illegittima di Pietro III Alighieri, discendente del Poeta. In effetti ha lo stesso naso, non c’è che dire.
Chissà se sta raccontando al consorte della sua ‘preghiera’ nell’intimità del bosso.
Pare proprio di sì! Adesso guarda dritto verso l’idolo davanti a cui ha appena ammesso di essersi genuflessa e sorride, ammiccando… e il marito fa altrettanto!
Il consorte è Pierino Alli, rampollo di un’antica famiglia di origine romana, e ha sposato Dianora solo per tentare di mettere a tacere ciò che tutti sanno: che lui, per le donne, non ha il minimo interesse; salvo, pare, per i loro abiti, che ama indossare non appena rientra in casa. Quanto a lei si dice che il matrimonio sia stato organizzato proprio dal presunto padre, con tanto di ferreo contratto, per assicurarle un rango che lui non ha potuto – o voluto – riconoscerle con il proprio cognome.
Adamasco risponde agli ammiccamenti dell’uomo con un cenno della testa e quest’ultimo, sempre con il sorriso sulle labbra, gli fa un gesto inequivocabile: unisce le due mani formando un cerchio con i pollici e gli indici.
Da quando, due anni fa, Botticelli lo ha ritratto con la medaglia d’oro di Cosimo il Vecchio sostenuta dalle mani in quella posizione, quel gesto è diventato una sorta di codice per il ragazzo, un segnale e una richiesta precisa. Nel ritratto l’artista ha inteso rappresentare due aspetti della personalità del giovane: il paesaggio di sfondo con le anse dell’Arno viste dal ponte di Buriano a significare, in ricordo di quel bacio lì dato spontaneamente, la sua anima libera quando viveva ad Arezzo, e la moneta d’oro in primo piano a mostrare il coinvolgimento e l’influenza del denaro e della fama sulla sua vita attuale a Firenze.
A onor del vero non si può tacciare il giovane, in alcun modo, di essere un mercenario: non ha mai chiesto niente in cambio dei suoi ‘servizi’ sessuali. Da spirito libero qual è, il suo godimento gli è sufficiente; è divenuta una prassi ringraziarlo con due fiorini d’oro, nata spontaneamente a partire dalla sua prima amante – una nobildonna molto vicina alla famiglia de’ Medici – la quale ha volentieri consigliato le sue prestazioni ad amiche e amici raccontando, oltre degli interessanti dettagli anatomici, anche del proprio gesto di gratitudine, che è stato di buon grado emulato da tutti. Ovviamente a lui il fatto non dispiace: queste ‘donazioni’ gli permettono di vivere agiatamente senza bisogno di impegnarsi più di tanto nell’attività per cui il padre lo ha volentieri mandato a Firenze.
Dall’altra parte del tavolo Messer Alli insiste con il gesto, a chiedere conferma.
Il ragazzo, senza imbarazzo, gli sorride compiaciuto e con un leggero movimento della testa indica il giardino, dal lato del bosso.
Chiaro. È già un appuntamento. Alla prima pausa.
In cuor suo Adamasco si augura solo che Pierino sia più esperto della moglie… Dianora è stata veramente una noia mortale!
Intanto le portate si susseguono a ritmo serrato: ogni entrata, sottolineata dalla musica, desta lo stupore e l’apprezzamento dei convitati. È già stato consumato il primo servizio di credenza, lasciando nell’aria una scia di noce moscata e cannella, e adesso seguono il servizio di cucina e il secondo servizio di credenza: eleganti vassoi e alzate d’argento artisticamente cesellate a sbalzo portano in tavola trionfi di cacciagione e di pesce – accompagnati da ogni genere di verdure – arricchiti da fiori e frutta e profumati da zenzero, pepe, zafferano e chiodi di garofano. In sontuose salsiere finemente decorate vengono servite mostarda e cotognata, e una deliziosa salsa di melograno e arance amare. Fra una portata e l’altra, i coppieri hanno un gran da fare a versare, dalle argentee brocche, Malvasia e altri vini prelibati.
Dall’altro lato del tavolo gli Alli alzano la loro coppa in direzione di Adamasco, accompagnando il gesto con inequivocabili sorrisi e ricevendo, in risposta, compiacenti cenni della testa. Intanto lui si trova obbligato ad ascoltare una dissertazione riguardo gli affreschi della sua cappella di famiglia ad Arezzo, intavolata da un noiosissimo individuo seduto alla sua sinistra. Costui, pur di poter parlare dell’argomento – di cui si dichiara esperto – ha fatto scalare di un posto la moglie, una donna alta e segaligna, che adesso fa di tutto per inserirsi nella discussione, sporgendosi da dietro le spalle del marito. È evidente che il fatto di essere stata allontanata dall’uomo più desiderato del momento non è di suo gradimento, e sembra alquanto indispettita: sente di aver perso un’occasione unica e sbuffa, a bocca stretta, senza però riuscire a valicare il muro di noia che il marito sta costruendo con le sue elucubrazioni.
Al contrario, la giovane Madonna alla destra del ragazzo è molto compiaciuta della sua posizione e si sente sospesa in un mondo parallelo: a dispetto della musica, i canti, le risate, le voci e i rumori che la circondano, sembra trovarsi in una sorta di paradiso terrestre e, appena il vicino le si rivolge, lo fissa negli occhi con sguardo incantato. Ha l’impressione di sentirsi Eva, sola nell’Eden accanto al suo Adamo; tutto il resto non c’è, non esiste. Il giovane ovviamente se ne è accorto, e sotto la pesante tovaglia che ricopre il tavolo, ha già ‘agganciato’ con il suo piede quello della pulzella.
La ragazza è accompagnata dal padre, troppo anziano per essere nel giro dei pettegolezzi dell’alta società fiorentina e conoscere la fama del commensale seduto a lato della figlia… altrimenti, con certezza, anche lui l’avrebbe fatta spostare al suo posto. Chissà se la donzella, dall’aria così innocente, sa già qualcosa o se è stata semplicemente rapita dall’indiscusso fascino dell’Aretino. Una cosa è certa: non dà nessun cenno di volersi liberare del piede che tiene imprigionato il suo!
Non appena ‘l’esperto d’arte’ molla il discorso per dedicarsi ad addentare la coscia di un’anatra in salsa di prugne e, subito dopo, il petto di un fagiano farcito, i due approfittano per scambiarsi sorrisi e fare conoscenza.
Il nome della ragazza è Ginevra, non ha ancora compiuto diciotto anni ed è l’ultima figlia del terzo matrimonio del padre, quasi ottantenne.
Però sta rispondendo a malapena alle domande che il vicino le pone.
A lui, a prima vista, era sembrata più matura… invece il rossore che le dipinge le guance non appena la guarda negli occhi, suggerisce una inesperienza e una ingenuità tipica delle vergini.
A discapito della sua fama, Adamasco non è eccitato da questo aspetto femminile e adesso, avendo percepito la purezza della fanciulla, indietreggia e allontana il piede da quello di lei. Per quanto sia uno spirito libero e fuori dalle convenzioni, ha rispetto per certi valori e l’educazione ricevuta non gli permette di profanarli.
Per fortuna lo aiuta a togliersi dall’imbarazzo l’annuncio di una pausa dedicata alla danza, che cattura l’attenzione di tutti interrompendo ogni altra azione e – in attesa che si introduca l’ultimo servizio di credenza composto da dolci e frutta – ecco che in un attimo alcune coppie si stanno già esibendo in una bassadanza. Trascinati dalla musica molti commensali si alzano per unirsi a loro, altri solo per osservarli, in piedi, battendo le mani al ritmo della musica.
Qualcuno approfitta per sgranchirsi le gambe o per recarsi alla ritirata.
Ovviamente Messer Alli riesce a farsi notare da Adamasco e con un cenno del capo gli indica il giardino verso il quale si dirige con finta lentezza. L’interesse di tutti è focalizzato al centro del salone, dove la musica accompagna i danzatori nei loro armonici movimenti e nessuno fa caso a chi entra o esce dal giardino, cosicché il ragazzo può tranquillamente raggiungere la siepe di bosso. Solo Dianora, dal lato opposto del tavolo, lo segue con lo sguardo, unica complice e prima responsabile di quell’incontro. Ginevra invece non si è accorta di niente, e adesso, in piedi vicina al padre ancora seduto, si guarda intorno, confusa, cercando inutilmente il suo Adamo.
La posizione di Venere è cambiata e, circondata com’è da tutte le altre stelle che ormai risplendono nella notte, non è più così riconoscibile. E comunque, fortunatamente, questa volta non c’è proprio bisogno di cercare distrazioni osservando la volta celeste: il marito di Dianora sta mostrando un’esperienza e una maestria di gran lunga superiore a quella della moglie.
Adamasco è totalmente coinvolto dall’uso che Pierino, inginocchiato davanti a lui, sta facendo della lingua, con esplorazioni e virtuosismi davvero eccitanti!
Questa volta è lui a doversi trattenere per non lasciarsi sfuggire mugolii di piacere: l’uomo gli si è attaccato a ventosa, come una mignatta, e non è facile contenersi… ma deve farlo: ecco che, vicinissimi a loro, adiacenti alla siepe, due persone si sono appartate e stanno confabulando.
L’aretino blocca con le mani la testa che ha fra le gambe, premendola verso il pube, e rimane immobile, in silenzio.
“Sei sicuro che qualcuno non abbia tradito? Sarà veramente una coincidenza che Giuliano non è venuto?”
“Stai tranquillo, lo so per certo. Soffre ancora per una ferita che si è procurato a una gamba, ma questo proprio non ci voleva, era tutto così ben organizzato!”
“Sì, ma non ha senso se non ci possiamo occupare di tutti e due, stasera dobbiamo rinunciare.
È indispensabile trovarli insieme.”
“Domani… bisogna approfittare di domani, non possiamo aspettare oltre, lo sai. Domattina saranno tutti e due alla messa celebrata da Raffaele in Santa Reparata. Sarà il momento giusto.”
“Sì, domani, quando saranno insieme. Dobbiamo riorganizzarci bene però… ne parliamo più tardi, a Firenze. Adesso rientriamo, meglio non dare nell’occhio.”
I due si allontanano.
Adamasco, attraverso le fitte foglie, grazie alle fiaccole ha riconosciuto il cardinale Girolamo Riario dal colore della veste; quanto all’altro, è quasi sicuro che si tratti di Jacopo de’ Pazzi. Non è riuscito a carpire chiaramente tutto quello che si sono detti, ma gli sembra chiaro che stiano cospirando contro i Medici. Non sa quali siano i loro intenti, ma per certo ha capito che, qualunque cosa abbiano intenzione di fare, la metteranno in atto solo nel momento in cui i due fratelli saranno insieme.
Cerca di ricostruire nella mente le frasi che ha udito un po’ a tratti – i due parlavano sottovoce – per cercare di dare una spiegazione al dialogo… e improvvisamente si ricorda della testa che ha stretta al pube: allenta la presa e avverte di nuovo la lingua che lo stava deliziando.
Ma non è certo il caso di continuare: quell’evento ha fatto crollare la sua libido e, velocemente, si richiude la braghetta.
Contemporaneamente giungono applausi dalla villa, a indicare che il momento della danza è finito e sta per essere portato in tavola l’ultimo servizio di credenza.
È il caso di rientrare subito, e lasciare l’opera incompiuta.
I due si ricompongono; Pierino, però, non ha dubbi: quella non può essere una conclusione.
Insiste perché, dopo il banchetto, Adamasco rientri a Firenze in carrozza insieme a lui e Dianora.
Non c’è bisogno di ripetere l’invito, per convincerlo. Il giovane accetta con slancio.
Un intenso profumo di cannella li accoglie nel salone, mentre trionfi di frutta e vassoi di dolci cosparsi di polvere di Cipro vengono trionfalmente portati in tavola, accompagnati dalla musica.
I convitati stanno riprendendo i loro posti.
Adamasco, che non riesce a pensare ad altro, ha la conferma che il secondo uomo che ha sentito dialogare è Jacopo: si sta allontanando solo adesso dal cardinale Riario il quale, con amabili quanto ipocriti sorrisi, si avvicina per parlare con Lorenzo.
Le frasi che ha udito dalla siepe si rincorrono nella sua mente, ma non riesce a credere che possa trattarsi di qualcosa di grave: Jacopo è lo zio di Guglielmo, che ha sposato Bianca, sorella di Lorenzo e Giuliano… come può volere del male agli zii dei suoi nipoti? Ecco che si accosta proprio ora a due di essi: Contessina, accompagnata dal suo sposo, e il giovane Antonio appena sedicenne, e parla loro amorevolmente.
Ma no… sicuramente stanno solo organizzando delle rimostranze e vogliono affrontare i due illustri fratelli pubblicamente per metterli in difficoltà; probabilmente per fare una critica al loro governo; in effetti ricorda di certi dissapori di cui ha sentito parlare, legati allo sfruttamento delle miniere di allume in cui sono coinvolte le due famiglie, oltre al Papa, naturalmente.
Questo spiegherebbe il confabulare di quei due.
Adamasco decide comunque che dovrà avvertire i Medici di ciò che ha sentito.
Avvicinare Lorenzo stasera è impossibile, circondato com’è dagli invitati; inoltre con lui non ha la stessa familiarità che ha con il fratello, e poi si sta già preparando per andarsene. Lo farà domattina: andrà, di buon’ora, a palazzo Medici ad avvisare Giuliano.
Si sente tranquillo: sa con certezza che l’amico il giorno seguente non uscirà. Ne è certo.
Quindi, qualunque cosa stiano tramando, non potranno metterlo in atto domani perché lui rimarrà chiuso in camera per lo stesso motivo – quello vero – per cui non è presente qui stasera: è la ricorrenza del secondo anno dalla morte di Simonetta, e vuol vivere da solo il dolore che gli procura la sua mancanza.
È stato lui stesso a confessarglielo proprio ieri, affermando che era determinato a restare a letto. Vuol finire di elaborare, con questa ultima giornata di cordoglio, il lutto per quella perdita. Intende superarla guardando al futuro: l’idea di diventare padre – sta per avere un figlio da Fioretta – lo rende molto felice, e vuole che questa nascita sia un cambiamento portatore di serenità e speranza.
Intanto Ginevra si è seduta di nuovo alla mensa e adesso, agli occhi di Adamasco, appare proprio una bambina: addentando un dolce si è sporcata il viso di polvere di Cipro, dal naso fino agli occhi! Nemmeno quella sfarinatura bianca riesce a nascondere il rossore che le infiamma le guance quando il suo vicino le si rivolge… in realtà adesso le si è accostato solo per prenderne commiato con una riverenza: dall’altro lato del tavolo gli Alli gli fanno cenno di andare – stanno salutando alcuni commensali – approfittando del fatto che Lorenzo si è già congedato ufficialmente da tutti e sta rientrando a Firenze.
Mentre molti degli invitati continuano a bere e ad abboffarsi alla mensa, e altri hanno ripreso a danzare, Adamasco, dispensando inchini e gesti di saluto, attraversa il giardino e si dirige verso la carrozza che lo sta aspettando fuori dal cancello.
Alla povera Ginevra, delusa, non rimane che avventarsi sui dolci.
Firenze, 26 aprile 1478
Sul parapetto di pietra serena posto in cima al muro, terrazzamento che contiene il giardino superiore, il cardinale Girolamo Riario sostiene, a braccia spalancate, un enorme bacile d’argento che brilla sotto il sole. Accanto a lui, ad aiutarlo, Jacopo de’ Pazzi. Dietro di loro, Lorenzo.
Guardano verso il giardino di basso, ridono.
Adamasco, da sotto, fa appena in tempo a percepire quell’immagine stagliata contro il cielo, che subito dopo, con un movimento deciso, il catino viene versato e una cascata d’acqua lo investe. Un’enorme onda lo attraversa e prosegue, come un fiume in piena, giù lungo il pendio, verso Firenze. Mentre osserva la scena, sente ridere intorno a sé: fradici, i figli di Bianca, soprattutto i più piccoli, sembrano divertirsi molto per quel bagno improvviso e inaspettato, e saltellano contenti come fosse un gioco.
Anche i tre in cima al muro ridono; sembrano prendersi gioco di lui.
Adamasco si sveglia di soprassalto. È bagnato sì, ma di sudore.
Il soffitto a cassettoni di legno che vede aprendo gli occhi, gli rammenta che non si trova a casa sua.
Lentamente, nell’intento di non svegliarli, inizia a districare le braccia e le gambe da quelle di Dianora e Pierino.
Una forte lama di luce penetra dalla finestra socchiusa, indicando che il sole è già alto, mentre l’incubo che lo ha appena svegliato gli ricorda l’impegno preso con se stesso, quello di andare a parlare con Giuliano.
Velocemente attraversa la stanza e va verso il lettuccio sulla cui base c’è una brocca con ancora dell’acqua profumata e una bacinella: si lava, e si asciuga con l’ultimo telo di lino rimasto pulito dopo la notte tumultuosa appena trascorsa.
Sul letto continuano a dormire, beati, gli Alli, abbracciati e sereni come due angioletti: tutto si direbbe meno che siano una coppia mal assortita. In effetti, forse, dopo questa esperienza non lo sono più… Adamasco è rimasto stupito da quanta complicità abbiano dimostrato in quella che per loro è stata una prima volta. Pierino poi lo ha spiazzato: all’inizio ha voluto indossare un abito femminile – una sottana completamente aperta sul davanti – ma ha dimostrato, al contrario di ciò che si poteva immaginare, un’attitudine tutt’altro che passiva!
Durante tutta la notte e ben oltre l’alba, spalancato il cortinaggio del letto, si sono donati reciprocamente sperimentando ogni combinazione erotica possibile a tre corpi, esplorando nuove frontiere alla ricerca del piacere.
Anche per il ragazzo è stata un’esperienza nuova e veramente voluttuosa; fra l’altro, redditizia: in una delle pause durante le quali si sono rifocillati con coppe di ottimo vino speziato e dolcissimi fichi secchi e fragole, Pierino ha voluto premiare la sua presenza con ben sei fiorini!
Adesso, mentre si riveste, osserva i due sposi adagiati fra guanciali e lenzuola bianche e li trova belli e complementari: lui bruno, pelle olivastra, peloso e decisamente virile in contrasto con il suo atteggiamento così gentile; lei bianchissima, corpo armonioso, delicato e fragile, in opposizione al carattere energico e volitivo… unico segno fisico della forte personalità che la caratterizza, il naso, che ora svetta come la vela di una caravella sopra un mare di biondissimi capelli, adagiati sul ventre del marito.
Con questa immagine negli occhi, Adamasco esce, in punta dei piedi.
Dalla posizione del sole teme sia oltre mezzogiorno, anche se in cuor suo spera di no, e si augura di udire il suono del campanile di Giotto che lo annuncia.
Si informa per strada, e scopre che invece è già passato il tocco: qualcuno ha sentito, da un bel po’, il campanino che preavvisa l’inizio della messa in Duomo.
Accelera il passo: ricorda che il cardinale ha parlato di quella funzione.
Di nuovo le frasi udite si inseguono nella sua mente… l’ansia lo assale e inizia a correre: palazzo Medici non è lontanissimo, ma sembra che questa via Guelfa non finisca più!
Decide di non andare fino al portone centrale ma di fermarsi prima, a bussare dal lato del giardino; forse gli apriranno.
Bussa, insiste, chiama:
“Giuliano!”
Gli aprono, si precipita dentro; nessuno lo ferma… è di casa, qui.
Dal giardino chiama di nuovo l’amico, rivolto verso la finestra della sua camera:
“Giuliano! Giuliano!”
Si affaccia Caterina, la sua balia.
“Tutti a cercare Giuliano, oggi? Ma che avete?”
“Dov’è Giuliano?”
“ Ah, sei tu Adamasco… Giuliano non c’è, è già uscito da un po’. Son venuti a prenderlo Francesco con uno de’ Bandini, sono andati alla messa, li trovi lì, tanto non è ancora finita, vai!”
Adamasco, sconcertato dalle parole della balia, nemmeno le risponde ed esce correndo da dove era entrato.
Gira l’angolo e inizia a percorrere via Larga, quasi volando: giù in fondo alla strada ecco il battistero di San Giovanni, ci vorrà un attimo!
Ma, prima ancora di arrivare al canto della piazza, intende il vociare di una folla che sta uscendo – anzi fuggendo – da Santa Reparata.
Si fa strada, contro corrente, fra quella fiumana di gente urlante e spaventata e vede, davanti a sé, le porte del duomo chiudersi violentemente.
Non fa in tempo, per un attimo, a infilarsi dentro.
Bussa, batte disperatamente i pugni sulla prima porta, poi sulle altre, insiste.
Niente.
Troppo tardi.
Tutto è già avvenuto.
Adamasco Bacci fu fra i primi a organizzare, al grido di “Palle, palle!” la feroce e fulminea caccia all’uomo che si scatenò, immediatamente dopo l’assassinio, alla ricerca dei responsabili della morte di Giuliano. Andò di persona a stanare Francesco de’ Pazzi, che aveva ritenuto un amico, il quale, ferito, si era rifugiato in casa.
Poche ore dopo il traditore pendeva, impiccato, dalle finestre di Palazzo della Signoria.
